Se intendiamo lo yoga come uno stato di unione, le diverse vie pratiche per raggiungerlo passano dalla conoscenza del sé in funzione del riconoscersi come parte di questa unità: passare dall’io per rendersi conto che questo non esiste o esiste in quanto parte di un sistema più grande (il tutto, l’universo, dio, o come ognuno di noi la pensa). In questo percorso non stupisce che sia proprio l’ego, l’individualitá di ciascuno di noi l’ostacolo maggiore.

Negli Yogasutra di Patañjali (2.4) troviamo bene elencate i cinque principali ostacoli – o afflizioni – che impediscono una chiara percezione di questa unione:

avidyāsmitārāgadvesābhiniveśah kleśāh

Le kleśa sono sempre presenti nella nostra vita e lavorano costantemente in noi, solamente quando queste dominano il nostro spirito, si rendono visibili anche all’esterno: il che non significa, come Patañjali avvisa sin da subito, che anche il diretto interessato ne sia consapevole.

Le cinque kleśa sono:

Avidya – ignoranza, falsa comprensione di ciò che è, il non vedere come stanno le cose

Asmita – il non vedere chi sono io, la creazione di una narrazione personale non autentica

Raga – attrazione, il desiderio (attaccamento a ciò che mi piace)

Dvesa – avversione, l’odio (attaccamento a ciò che non mi piace)

Abhinivesah – la paura dell’estinzione, della morte (che contemporaneamente è anche una brama di conservazione)

Uno spunto di riflessione e di applicazione pratica che può accompagnarci è quello di indirizzare il nostro sguardo alla presenza ed eventuale dominanza delle kleśa in noi, nel nostro comportamento e nel nostro intimo modo di sentire e vedere le cose.

Accettare non solo la presenza costante di questi ostacoli di percezione, ma anche la loro temporanea dominanza sul nostro agire e pensare è un profondo atto di auto conoscenza e ci permette di applicare proprio quello sguardo distanziato, come una sorta di ripresa aerea, sui nostri comportamenti che è uno dei percorsi da fare per raggiungere lo stato dello yoga.

Come contrastare questi ostacoli? Patanjali ci avvisa subito: queste afflizioni sono così sottili e quindi permeanti dell’essere da poter essere eliminate solamente percorrendo al contrario la traiettoria verso la loro origine, ricorrendo a una visione inintenzionata (dhyāna).

Quindi: prendere atto della loro esistenza e influenza e del fatto che questa non è eliminabile se non procedendo-  e (chissà) raggiungendo – in direzione dell’ottavo limbo dello yoga samādhi. Senza dimenticare che il cammino è l’obiettivo. In pratica possiamo domandarci:

  • Riesco a distinguere i fatti, ciò che è, dalle mie interpretazioni personali, dettate dalle mie emozioni e desideri? (Avydia)
  • Chi sono io? cosa sto facendo ora? E perché lo sto facendo? (Asmita)
  • Posso distinguere ciò di cui ho bisogno dal superfluo? Posso ampliare le mie vedute e le mie esperienze, abbandonando ciò che mi piace? (Raga)
  • Verso cosa provo avversione? Perché? Posso superare l’avversione per aprirmi a diversi punti di vista/esperienze? (Dvesa)
  • Riesco a vedere la mia esistenza e quella dei miei cari, le mie percezioni ed emozioni come tassello di un mosaico infinto, in modo da moderare il senso di vuoto e di terrore che emerge pensano alla nostra fine? (Abhinivesah)

Buona ricerca!


Da leggere:

Eddie Stern, One Simple Thing ISBN 978-0865477803

Patañjali, Yogasūtra (italiano, versione commentata) ISBN 978-8806241575

Über Freiheit und Meditation, Das Yoga Sutra des Patañjali (tedesco, versione commentata da T.K.V. Desikachar) ISBN 978-3866165342

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